Novanta. Come i numeri della Smorfia napoletana.
Al significato di ogni numero corrisponde un racconto ispirato a una storia vera. Così Lorenzo Marone mette a nudo aspetti noti e meno noti della sua città, Napoli, facendo affidamento a storie riferitegli e ad altre realmente vissute. Il quadro che ne viene fuori è del tutto autentico, disarmante da un lato, accattivante e surreale dall’altro.
A Napoli le leggi che regolano i canonici rapporti tra le persone sembrano essere sovvertite, rovesciate in nome di un’autogestione bislacca delle dinamiche sociali, in cui il destino è deciso, spesso, dalla ciorta, un Caso beffardo e cialtrone che sembra giocare a dadi con la vita degli uomini.
A don Salvatore rubano la pensione all’esterno dell’ufficio postale, ma ha appena comprato un biglietto del Gratta e Vinci da duecentomila euro, perciò se la ride, nonostante l’accaduto.
I bambini dei vicoli sono già uomini coraggiosi e disillusi, giovani Werther che si accontentano di stare per ore in strada a pazziare, dimentichi del resto, mentre gli adulti tentano di districarsi come possono fra le bizzarrie e le difficoltà di una città che non ha spazio per i sogni di tutti. C’è chi la difende e corre a pulire il parco la domenica mattina, chi la calpesta ogni giorno rubando i vestiti per i poveri o parcheggiando dove capita perché è l’ora del caffè, chi la tratta alla stregua delle altre metropoli e tenta di districarsi con la bici fra i vicoli del centro, chi, infine, se ne fa una ragione e la sera pensa solo a non uscire troppo tardi dall’ufficio poiché dopo le venti il quartiere si fa pericoloso.
I morti, come i santi, sono presenti in mezzo ai vivi: compaiono nei sogni per indicare “i numeri”, da giocare immancabilmente al risveglio, nella speranza di un colpo di fortuna che cambi la vita.
Novanta racconti. Novanta storie vere.
Novanta volte Napoli.
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