Intervista a Lorenzo Marone
La tentazione di essere felici quando la si raggiunge, c’è quasi la paura di perdere qualcosa.
Protagonista è il settantasettenne Cesare Annunziata – molti sogni infranti e una feroce ironia – la cui vita viene scossa dall’arrivo dei nuovi vicini di casa. Una giovane coppia, di quelle che spesso finiscono sotto i riflettori della cronaca. Lei, Emma, occhi tristi e corpo martoriato di lividi; lui, il violento al quale è difficile sottrarsi. L’apparenza granitica di Cesare si sfalda e svela un cuore generoso, insospettabile. L’autore entra nei suoi pensieri, racconta la violenza domestica con occhi esterni maschili che mettono perfettamente a fuoco un inferno coniugale. Non conosco donne maltrattate ci dice sono cose che si sentono in televisione e sembrano un po’ estranee. Invece accade quotidianamente e mi colpisce parecchio. Trovo sconvolgente anche solo il pensiero di picchiare una donna.
Cosa arma i pugni e i calci degli uomini?
Credo sia innanzitutto la rabbia verso la vita e l’incapacità di confrontarsi con l’universo femminile a 360°, non solo con la compagna. Poi insicurezza, difficoltà e debolezze che arrivano dai vari trascorsi personali. C’è forse anche un senso d’inferiorità e in questi casi la fragilità maschile è superiore a quella delle donne.
Come hai fatto a immedesimarti in Emma, in quello che subisce e pensa?
Mi sono infilato nei forum di donne che sono state oggetto di violenza e mi si è aperto un mondo.
Perché scrivi I bastardi che picchiano le mogli lo fanno perché sanno di poterselo permettere?
Non è una giustificazione o un alibi. In genere le vittime sono donne con poca autostima, le più deboli e indifese; accanirsi proprio su di loro è ancora più da codardi.
Come spieghi la sorta di bipolarismo di Emma che in parte vuol essere salvata, in parte no, e comunque non riesce a denunciare il marito?
È un meccanismo che mi incuriosisce molto, difficile da spiegare. Credo si provi vergogna anche nei confronti del carnefice; si voglia difendere, proteggere, il compagno dal giudizio degli altri.
Chi, come il tuo protagonista, avverte che c’è violenza in una coppia, cosa dovrebbe fare?
Intervenire, anche se non è facile capire come e quando. In ogni caso lo si fa troppo poco, ci si gira dall’altra parte. Si pensa ancora, come dice Emma, che sia un problema familiare assolutamente privato. Non è così. Anzi, proprio la mancanza di denuncia può portare a epiloghi tragici.
Per il personaggio di Cesare ti sei ispirato a qualcuno?
È di pura fantasia, anche se in realtà in ogni condominio si trovano persone simili: che parlano poco, un po’ scontrose. Il romanzo è su di lui; poi ho inserito la violenza domestica perché non se ne parla mai abbastanza. Ma mi interessava avere gli occhi di un anziano; qualcuno con una vita già trascorsa e che voltandosi indietro potesse fare un bilancio.
Lui a quasi 80 anni cambia; pensi davvero sia sempre possibile invertire la propria rotta emotiva?
Credo si possa cambiare fino all’ultimo. Occorre volontà e forza interiore; a volte aiutano anche eventi esterni. Come per Cesare; uomo disilluso, poi quasi costretto a uscire dal suo guscio.
Qual è la tentazione di essere felici del titolo?
Qualcosa che c’è in tutti noi. Ma già è difficile trovarla e, quando la si raggiunge, c’è quasi la paura di perdere qualcosa, ci si sente smarriti. Invece bisogna sempre combattere per la felicità.
Immaginati all’età del tuo protagonista, guardandoti indietro cosa vorresti vedere nel tuo bilancio?
Sentirmi in pace, felice di quello che potevo fare e ho fatto; mentre quello che non potevo, non l’ho fatto, e va bene così. Essere appagato – non tanto dalle cose materiali – ma dalla sensazione di aver messo tutto quello che avevo nei miei giorni.
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