Alla ricerca della bellezza quotidiana

Ma se vogliamo trarre un insegnamento da questa immane tragedia, se c’è una cosa che possiamo cambiare per il domani, è il nostro modo storto di stare al mondo; non possiamo più procedere con gli abbaglianti, c’è da sovvertire le regole, innalzare a testamento i due, tre valori cardine che tengono in piedi le nostre vite e che eleggiamo solo nel momento del dolore personale. Dobbiamo imparare a rendere personale il dolore collettivo, se vogliamo iniziare a capire. Dobbiamo lasciare l’individualismo, la frenesia del consumo, che aumenta le diseguaglianze sociali e illude i deboli di essere forti. Dobbiamo recuperare un’anima, per cambiare lo sguardo sul mondo, imporci di rallentare, impegnarci a sentire, tornare a leggere, a tendere la mano, a ricercare la bellezza del quotidiano, dobbiamo avere cura di noi e di ciò che è altro da noi, comprendere che rincorrere la vita e gli altri significa perdere sé stessi.

Questo sarebbe un buon modo di reagire, significherebbe aver tratto un insegnamento. Così daremmo il nostro contributo alle generazioni future. Non è più il tempo della frenesia, dello shopping compulsivo, dell’euforia senza senso e del troppo di tutto, è ora di tornare all’essenziale, di rimettere insieme le cose, di vivere prima che di spendere. Invece avverto un nuovo inutile vociare, di quelli che attendono la prossima festa, le discoteche, gli aperitivi, e poi lo sci, il Capodanno, i botti e i regali.
Un eterno inseguire il nulla, un’irrefrenabile voglia di ridere.


Questo Paese ha così sfrenatamente voglia di ridere. Che cosa c’è da ridere? si chiedeva Nanni Moretti in “Caro Diario”. Già, cosa c’è da ridere?

Repubblica Napoli del 14 dicembre 2020

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